27 settembre 2019

Dal 28 settembre il Museo delle Culture di Lugano presenta la sua nuova esposizione temporanea «Dayak. L'arte dei cacciatori di teste del Borneo»

Si inaugura a Lugano la più grande esposizione di arte dayak del Borneo degli ultimi quarantacinque anni

La nuova grande esposizione temporanea del Museo delle Culture è dedicata all’arte e alla cultura materiale dei Dayak del Borneo ed è frutto della ricerca pluriennale condotta dal MUSEC, in collaborazione con partner scientifici internazionali. Si tratta di una delle maggiori esposizioni al mondo mai realizzate su questo tema e senz’altro la più ampia degli ultimi quarantacinque anni.

La mostra e il libro riccamente illustrato che la accompagna (Arte dayak di Paolo Maiullari, Culture Arts&Books, Lugano 2019, pp. 296) sono il coronamento di un percorso di ricerca, valorizzazione e accrescimento delle collezioni del MUSEC di arte del Borneo, avviato una quindicina di anni fa e che ha già portato alla realizzazione di esposizioni e pubblicazioni, come pure ad azioni di cultural diplomacy in sinergia con le autorità indonesiane.

Le centosettanta opere esposte sono state prodotte per la maggior parte tra l’inizio dell’Ottocento e la metà del Novecento e provengono sia dalle collezioni del MUSEC, sia da altri quattro musei etnologici svizzeri (Basilea, Berna, Neuchâtel e Zurigo) e da collezioni private svizzere ed europee. Sono rappresentative dei maggiori generi di arte dayak diffusi in Occidente: sculture monumentali di legno, maschere, bastoni magici da caccia, pagaie, armi da guerra, tessuti, ornamenti per il corpo, indumenti, crani-trofeo, matrici da tatuaggio, porta-neonati, elementi architettonici, strumenti musicali, giare e oggetti di cultura materiale intrecciati e decorati.

L’esposizione occupa le quattordici sale del primo e del secondo piano di Villa Malpensata. Due sono i temi principali del percorso espositivo, che si articola in undici sezioni tematiche. La prima parte della mostra si sofferma sull’incontro tra le popolazioni Dayak e l’Occidente, che ha dato avvio alla ricerca etnografica e all’interesse collezionistico e ha influenzato la maniera occidentale di guardare al Borneo e ai suoi abitanti nativi. La seconda parte della mostra, proponendo un cambio di prospettiva, accompagna progressivamente il visitatore alla scoperta dei significati e dei valori propri delle opere esposte, in cui si esprime la relazione tra gli uomini, le divinità e i fenomeni naturali di una delle ultime terre ignote del pianeta.

Le spedizioni scientifiche e militari che, a partire dalla fine del Settecento, si spinsero nell’entroterra della più vasta isola indonesiana dovettero fare i conti sia con le impegnative vie d’accesso, sia con i bellicosi popoli che difendevano il proprio territorio. È a partire da tali dure esperienze che si delineò nell’immaginario occidentale una doppia percezione dell’isola: da un lato, le lussureggianti foreste primordiali e l’incontaminata bellezza della sua natura, che rimandavano all’idea di una primordiale età dell’oro e, dall’altro, i nativi Dayak, rappresentati nella letteratura e nell’iconografia del tempo come crudeli cacciatori di teste. Una percezione distorta e limitata della tradizione culturale dayak, che riguardò anche gli oggetti prodotti dalle popolazioni locali, considerati per lo più alla stregua di feticci e oggetti «primitivi».

La conoscenza veicolata dai musei etnologici europei e americani e le ricerche etnografiche sul campo hanno progressivamente contribuito a descrivere più accuratamente e a comprendere la cultura e l’arte del Borneo. Una conoscenza che per lungo tempo è però rimasta confinata nella cerchia ristretta degli specialisti e che ha intaccato solo in parte, nell’immaginario occidentale, la visione delle popolazioni native e della loro arte. Se avvicinata con altri occhi ed esplorata nelle sue motivazioni profonde, la produzione artistica rivela invece la sorprendente profondità socio-culturale e la maestria dei popoli che l’hanno prodotta.

L’interesse del Museo delle Culture per l’arte del Borneo nasce con il richiamo che l’arte di tale parte di mondo esercitò su Serge Brignoni, la cui collezione rappresenta il nucleo fondante del Museo. Come molti artisti delle Avanguardie della sua generazione, la passione collezionistica dell’artista ticinese fu da sempre orientata verso le arti tradizionali dei Mari del Sud. Tra queste, Brignoni fu particolarmente attratto dalle grandi sculture di legno provenienti dalle aree indonesiane del Borneo: sommità di pali cerimoniali che raffigurano figure antropomorfe dal notevole impatto espressivo, accentuato dall’azione degli agenti climatici che avevano intagliato e scavato il legno.

Il legame personale con questo particolare genere di opere spiega forse perché Brignoni, al momento della donazione alla Città di Lugano, abbia deciso di conservare per sé quattordici sculture del Borneo. In un secondo momento, Brignoni le donò al Kunstmuseum di Berna che nel 2018 le ha a sua volta cedute al MUSEC, il quale può oggi vantarsi di possedere a livello internazionale la più ampia e importante collezione di sculture monumentali del Borneo.

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Dayak manifesto